Il ritorno al passato di un paese immaturo e incapace di cambiare | a cura di Sara Giudice

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Il cambiamento da sempre può essere vissuto come un limite, con immensa paura o come una grande opportunità, specie quando lo status quo non è dei più gratificanti.

L’Italia reagisce alla possibilità di cambiamento come reagirebbe un bambino che ha acquisito poche, grandi certezze che non vorrebbe mai vedersi sottrarre. Perché lui non sa che potrebbe esistere qualcosa di migliore.

Il centrodestra italiano, che non esiste più, ci aveva creduto, interpretando il silenzio di Berlusconi come un sostanziale “liberi tutti”. Hanno cominciato: chi ad organizzare le primarie, chi a cercare sponda altrove, chi addirittura a tirare qualche malcelato sospiro di sollievo. E’ spaesata quella classe dirigente del centrodestra, anonima, (come ha sempre voluto Berlusconi, perché nessuno potesse metterlo in ombra, consapevole distruttore di ogni suo potenziale successore).
Il Cav., con un coup de théâtre torna in scena, proprietario indiscusso, monopolista di un’area politica che è stata sostanzialmente incapace di sopravvivergli.

Ritorna, nei cuori e negli status dei berlusconiani, la speranza, nella forma di un’agguerrita crociata antibolscevica contro il PD dato per vincente e contro il governo Monti. Ritornano in auge gli antiberlusconiani finora smarriti e incerti, contenti più che mai di trovare nuovamente occupazione.

Un passato che, secondo alcuni, non sarebbe tornato più: ma, evidentemente, ad auspicare che invece tornasse c’era moltissima gente.
Gente che, da una parte e dall’altra, senza il Cav. non avrebbe saputo che fare, che solo in lui (o contro di lui) trova la consistenza del suo essere, la sua ragione di vita; gente che ha vissuto questi mesi di governo tecnico come un brutto sogno, in attesa che il bell’addormentato si svegliasse.

Dalla parte opposta della scheda elettorale troviamo Pierluigi Bersani e il suo PD che non abbiamo ancora capito se sarà la nuova versione dell’Unione o un centrosinistra cosiddetto moderato che guarda al centro. Non abbiamo capito molto sennonché l’Italia ha scelto.

Ha scelto Pierluigi Bersani Presidente della Regione Emilia-Romagna tra il 1993 e il 1996; Ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato nei governi Prodi I e D’Alema I, Ministro dei Trasporti e della Navigazione nei governi D’Alema II e Amato II; infine Ministro dello Sviluppo Economico nel governo Prodi II; Pierlugi Bersani eletto consigliere regionale per la circoscrizione di Piacenza nelle file del Partito Comunista Italiano,  assessore in giunta dal 1980 fino al 1990. Nulla importa se molto di quel che è accaduto nella storia dell’Italia degli ultimi vent’anni ci faccia sostanzialmente inorridire. Nulla importa se per un attimo sullo scenario politico italiano abbiamo notato un arrogante trentasettenne con tre figli, sindaco di una piccola e triste città che aveva proposto un’idea diversa dell’Italia. Quell’Italia che, nel momento delle scelte importanti volta sempre lo sguardo dall’altra parte fingendo di non vedere.

La campagna elettorale è iniziata, e ancora una volta non si parlerà seriamente dei problemi del Paese, non si cercheranno soluzioni sostenibili nel lungo periodo, non si discuterà di economia, di esteri, di istituzioni, insomma di politica: si tornerà ad azzuffarsi su temi certamente più appassionanti per l’emotività dell’elettorato, ma altrettanto certamente irrilevanti per un’Italia che dal baratro non si è poi allontanata tanto.

Sarà contento Bersani, che finalmente può tornare a fare appello all’unione di tutte le forze in campo.
Sarà contento Grillo che trova in Berlusconi un degno demagogo contro cui battersi.

Saranno contenti pure gli animatori del Terzo Polo, che in un anno e rotti non sono riusciti ad offrire un’alternativa credibile e coerente alla sinistra, limitandosi a nascondersi dietro la bandierina di una non meglio specificata “Agenda Monti”, beh, significa che tanta voglia di governare e di fare le cose sul serio non ce l’avevano. Hanno preferito tirare a campare alla bell’e meglio, ora ringraziamoli tutti insieme di questo bel risultato.

Tutti contenti, insomma.

Tutti tranne noi, generazione perduta e pochi altri, che in un centrodestra vero, serio e alternativo alla “destra cazzona” (cit.) avevamo sperato e creduto, e per cercare di costruirlo abbiamo lavorato senza risparmiarci, con passione e sacrificio.

Tutti tranne noi, generazione vittima non solo della crisi economica del momento ma soprattutto vittime di una profonda depressione sociale, politica e culturale che ci impedisce di guardare il futuro con speranza, passione, dignità. Ovunque volga lo sguardo la mia generazione trova incertezza, passato, stagnazione, incapacità di reagire. Vogliamo essere protagonisti, costruire il nostro futuro in un paese senza coraggio.

a cura di Sara Giudice

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